Rappresentazione. Interpretazione. Strutturazione. Autorganizzazione.

QUATTRO INCONTRI DI AUTOFORMAZIONE CRITICA

Organizzati dalla RETE SOLIDALE VESUVIANA

Nota esplicativa a cura di Rino Malinconico

 

1) Parleremo dell’io, del noi e della società in cui viviamo. Ma ne parleremo in una logica di superamento dell’attuale disperante condizione umana, avendo ben presente questo nostro complicato tempo e la nostra opzione morale di contribuire a renderlo degno di essere vissuto.

È perciò una discussione che si svolgerà tra persone che hanno già scelto una collocazione critica rispetto alle relazioni sociali dominanti, le quali costringono la stragrande maggioranza degli uomini e delle donne del nostro pianeta a un destino di precarietà, miseria e dolore. E i contenuti e il contesto di questi nostri incontri proveranno a camminare, essi stessi, in direzione apertamente contraria rispetto alle convinzioni e alle regole maggioritariamente fissate nella coscienza dell’attuale stadio della civiltà umana.

Detto in maniera più chiara: si tratterà di una discussione tra persone che non si sentono conciliate col vigente sistema sociale (il sistema capitalistico) e con l’attuale ordine del mondo, suddiviso in pochi punti di accumulo della potenza e della ricchezza e numerosissimi luoghi di povertà e di impotenza; e che, in aggiunta, non si riconoscono in sintonia con la cultura largamente egemone, che esalta e celebra come positive, e in ogni caso inevitabili, le linee di prevaricazione e oppressione degli uni sugli altri.

 

2) Il fine di questi incontri è presto detto: rendere più stabile e sicuro il nostro cammino in direzione ostinata e contraria. Le forze sono limitate, lo sappiamo; ma l’obiettivo è proprio di rafforzare la capacità di incidere positivamente su questo mondo ingiusto e squilibrato, prospettando, in sua vece, un mondo di libertà, di uguaglianza, di fratellanza e di sorellanza. Il tentativo, in sostanza, è di uscire da questi incontri più saldi nei nostri ideali di fondo, ma anche, e soprattutto, più capaci di tramutarli in azione effettiva.

Non si fraintenda, però: questi incontri non forniranno ricette sociologiche o di economia politica o di storia politica. E d’altronde non di un ricettario c’è bisogno. Ciò che davvero serve è piuttosto l’attitudine a costruire. Ed è bene precisare che non si tratta di un elemento caratteriale, di una sorta di dono datoci alla nascita. L’attitudine a costruire è infatti una conquista propriamente intellettuale, strettamente connessa alla capacità di collegare l’ambito particolare nel quale ci muoviamo con l’ambito generale nel quale esistiamo.

L’attitudine a costruire è, in estrema sintesi, una significativa conseguenza dell’intreccio di specificità e totalità. Se riusciremo a dare un senso storico alle nostre peculiari esperienze; e se, contemporaneamente, riusciremo a intravedere il lavorio della storia anche in quello che quotidianamente pensiamo, speriamo e facciamo, allora tutto tenderà ad acquistare un più preciso e ampio significato: il nostro fare, il nostro sperare, il nostro pensare. E in realtà acquisteremo significato anche noi stessi, proprio ciascuno di noi, individualmente e collettivamente concepito.

 

3) Per dirla in altro modo, ci accingeremo a un vero e proprio lavoro di autocostruzione di noi stessi; con lo scopo di arrivare a impiegare le nostre energie nel modo migliore.

È con tale finalità che parleremo del mondo che viene incontro a ciascuno di noi e condiziona ogni singolo io – ci interrogheremo, cioè, sull’attività espressiva con la quale ci colleghiamo spontaneamente al mondo; e simmetricamente parleremo del volgersi necessario dell’io, ovvero di ciascuno di noi, verso il mondo – e cioè dell’attività descrittiva che l’io consapevolmente mette in moto a proposito del mondo. Poi in aggiunta, alla luce di entrambi i percorsi (del mondo verso l’io e dell’io verso il mondo), tenteremo di indagare soprattutto il confronto decisivo dell’io con se stesso, fissandolo nella attività rappresentativa e dell’io e del mondo. E quindi assumeremo, nel loro portato di complessità e ambiguità, l’espressione, la descrizione e la rappresentazione come primi elementi-cardine della relazione tra io e mondo.

Ma parleremo, ovviamente, anche dell’io che si muove assieme agli altri io, e cioè dell’io in quanto noi. E a questo livello partiremo direttamente dal porsi dell’io fuori di sé, e cioè dall’attività narrativa che l’io, proprio cercando di agire come un noi, metterà continuamente in campo a proposito del mondo; e simmetricamente cercheremo di indagare il livello di autonomia che il mondo narrato fuori dall’io tenderà progressivamente ad acquisire in termini di attività connettiva. Infine guarderemo a questa progressiva realtà esterna all’io – la quale, ritrovandosi su un piano di autonomia, cercherà di imprimersi incessantemente nell’io stesso in forma di attività interpretativa – riconsiderandola come effettiva conclusione di un organico percorso di narrazione (l’io fuori di sé), connessione (l’io in forma di noi) e, per l’appunto, interpretazione (il fuori dell’io che ritorna all’io).

 

4) Parleremo inoltre dell’io e del noi che divengono propriamente mondo, ovvero dell’io e del noi non più distinguibili dal contesto in cui agiscono perché immediatamente coincidenti con la loro stessa attività affermativa; e analogamente parleremo del mondo che, in tale processo, divenendo sempre più organicamente un insieme di io e di noi, tenderà a ridefinirsi come vorticoso complesso di attività comunicativa.

Ma a questo punto ci ritroveremo a fare i conti con un mondo che, ponendosi esplicitamente oltre l’io e oltre il noi, ovvero oltre la loro immediatezza, si preciserà sempre più distintamente come organica attività strutturativa. E la provvisoria e parziale conclusione sarà, verosimilmente, che abbiamo di fronte una articolata dinamica di affermazione (l’io e il noi che divengono mondo), comunicazione (il mondo che diviene io e noi) e strutturazione (il mondo oltre l’io e oltre il noi).

Parleremo in ultimo dell’io e del noi già costituitisi come io-noi, allorché distinguono nel mondo le diverse cose dando luogo a una continua attività identificativa; e simmetricamente presteremo l’attenzione necessaria all’io-noi che agisce sul mondo con una incalzante attività trasformativa. Poi, a conclusione, accanto ai paradigmi della identità e della vitalità, recupereremo pienamente il paradigma decisivo della storicità, che ci arriverà da un io-noi sostanzialmente impegnato a (ri)costruire il mondo attraverso una incessante e spontanea attività autorganizzativa.

In tal modo il compimento esistenziale, morale e sociale che possiamo ragionevolmente ipotizzare dal nostro versante, cioè dal versante di chi prospetta per sé e per gli altri il superamento dello stato attuale delle cose, sarà costituito dal tracciato di identificazione (l’io-noi che distingue se stesso e la realtà del mondo), trasformazione (l’io-noi che modifica se stesso e il mondo) e autorganizzazione (l’io-noi che (ri)costruisce ex novo se stesso e il mondo).

 

5) Detto in breve: da un lato abbiamo la dinamica di espressione, descrizione e rappresentazione, che sta al livello dell’io; dall’altro lato, narrazione, connessione e interpretazione, che sta al livello del noi; da un altro lato ancora, affermazione, comunicazione e strutturazione, che sta al livello della società; e in ultimo, dal lato finale: identificazione, trasformazione e autorganizzazione, che sta al livello della umanità.

Nell’ambito di questi percorsi compresenti e intrecciati – il quadro qui delineato non va inteso come sequenza cronologica, bensì in termini di semplice puntualizzazione logica – si collocano le idee che pensiamo, coltiviamo, e che in parte elaboriamo noi e in parte, in gran parte, ci vengono dal di fuori. In quanto idee, considerandole per comodità in astratto (e cioè al di là della nostra immediatezza), esse si distinguono in idee egemoni, o idee dominanti, e idee minoritarie, o idee combattenti. Noi siamo quelli delle idee combattenti. E le nostre sono idee di minoranza, dobbiamo saperlo.

Il punto è che per superare la nostra condizione di minoranza e far valere le ‘idee combattenti’ dobbiamo, sì, aver chiaro come funziona il mondo; ma dobbiamo sapere molto bene anche, e anzi soprattutto, come funzionano le idee. Il che significa, tanto per cominciare, che dovremmo sforzarci di mettere a tema, e a critica, anche uno specifico portato della nostra scelta morale di opposizione, che è quello della separatezza.

La trasformazione cui noi tendiamo – o la rivoluzione, se si preferisce – la viviamo sempre, in prima battuta, in quanto scelta morale, e cioè con un moto interiore di netta separazione dal contesto nel quale viviamo. Questa separazione è necessaria, è una precondizione dell’azione. Ma va colto che è anche carica di ambiguità e di pericolo. La separatezza è cioè necessaria soltanto come moto iniziale; se invece si solidifica, se si ipostatizza, diviene immancabilmente un impedimento per l’azione. In sostanza, la separatezza non dovrà mai essere assoluta.

 

6) Non c’è molto da obiettare: chi voglia davvero cambiare il mondo sarà obbligato ad avere costantemente anche una fortissima esperienza del mondo. E dovrà essere particolarmente fermo nel tenere assieme il suo fuoriuscire dal mondo col suo continuare a viverlo. La trasformazione – o la rivoluzione, se si preferisce – è sempre, infatti, un insieme intrecciato di separazione e partecipazione. Come è necessario staccarsi intellettualmente dal mondo, è altrettanto necessario, almeno per chi intenda contrastare veramente gli attuali rapporti sociali e l’attuale condizione umana, immergersi – praticamente, emozionalmente e intellettualmente – in quello stesso mondo che si vuole trasformare.

È però complicatissimo tenere assieme il momento della separatezza e il momento dell’esperienza del mondo. Per padroneggiarli davvero entrambi, c’è bisogno ancora di una terza e di una quarta dimensione, che solo in parte dipendono da noi. La terza dimensione da affiancare alle dinamiche di separazione e partecipazione è costituita dalla trasmutazione – o dalla rivoluzione, se si preferisce – in quanto  continua dissoluzione e ricostruzione di soggetto e oggetto. La quarta è data, invece, dalla umanizzazione del nostro fare e del nostro pensare, e cioè dalla consapevole presenza della complessiva condizione umana nei pensieri e nelle azioni dell’io-noi.

Insomma, è solo con l’insieme intrecciato e organizzato di separazione, partecipazione, trasmutazione e umanizzazione che si può sensatamente sperare di arrivare, procedendo per dubbi e interrogativi, alla pienezza (storica, non semplicemente ideale) dell’io nel mondo.

E la domanda di fondo diventa a questo punto: chi veramente è il soggetto? Meglio ancora: qual è il processo, il farsi possibile delle cose, in grado di arrivare effettivamente alla condizione di soggetto?

 

7)  C’è un possibile e piuttosto evidente soggetto nell’ambito del particolare: sono io, ciascun io con le sue specifiche esperienze. Ma il soggetto nell’ambito delle vicende collettive chi è? È magari l’intera umanità? E che significherà, in questo caso, “intera umanità”? Cosa sarà compreso in tale concetto? Solo la generazione attuale o anche le generazioni future? Oppure il soggetto dell’ambito collettivo va cercato specificamente nelle classi sociali, come dice il materialismo storico? Ma quali e quante sono oggi le classi? Che rapporto hanno con le specificità dei luoghi e dei tempi che le comprendono? E l’azione di queste classi è poi semplicemente la lotta di classe? O dovrà essere anche un’azione egemonica, pedagogica, prefigurante?

Del resto, accanto a questi interrogativi ci sono altre, impegnative domande: da dove vengono le “idee giuste”? rispetto a quali parametri vanno declinate? Rispetto forse alla realtà quotidiana? oppure rispetto alla storia? E qui di nuovo si pone la questione della soggettività: chi è che dovrebbe declinarle le “idee giuste”? l’io? il noi? l’io-noi? E ciò che alla fine questo soggetto, posto che riesca a definirsi tale, incontrerà nella declinazione di se medesimo, dovrà necessariamente considerarlo un sistema unitario? O si troverà di fronte a tanti segmenti staccati l’uno dall’altro?

Come si vede, siamo a contatto con questioni davvero complicate. E però man mano, percorrendole nella discussione, è piuttosto probabile che le scopriremo come passaggi inevitabili per dare veramente senso e forza a ciò che in parte già facciamo tanti e tante di noi: dall’attività di volontariato all’attività di impegno politico all’attività di cultura critica.

In altre parole, attraversando fattivamente tutte e quattro le dimensioni del modificarsi dell’io e del mondo – ovvero la dimensione della rivoluzione come separatezza, della rivoluzione come esperienza del mondo, della rivoluzione come pienezza dell’io nel mondo e della rivoluzione come esplicazione reale della condizione umana – potremmo davvero rinvenire, se non proprio il bandolo della matassa, almeno un utile filo da tirare. Utile anche soltanto per arrivare a guardare con più matura consapevolezza noi stessi, quelli che con noi si muovono e il mondo vasto e terribile intorno a noi.

Agosto 2024